Durante
i corsi per allievo maestro d’ascia
organizzati dalla Confartigianato di
Venezia si è discusso molto con gli
allievi e con i colleghi docenti,
sulle regole a cui attenersi nella
ricostruzione storica di una nave e
in particolare sull’attuale replica
della gondola secentesca. Quali
materiali impiegare, quale sequenza
progettuale e costruttiva attuare,
insomma a quale capitolare
attenerci, tenendo presente che
questi interrogativi sono
assolutamente inediti per l’Italia
dove sono state tentate pochissime
ricostruzioni.
L’ideale
sarebbe stato ovviamente impiegare
legname proveniente dai boschi della
Serenissima, abbattuto con la luna
giusta, affettato a mano con la
grande sega da segantini,
lasciato stagionare per anni fino al
punto giusto di maturazione, piegato
con il fuoco delle canne palustri,
inchiodato con chiodi di ferro
fucinati e zincati a mano.
Avremmo
potuto commissionare dalla
manifattura Bevilacqua stoffe
tessute con gli antichi telai
manuali, con fili di seta di bachi
allevati nelle ville della campagna
veneta. Avremmo potuto lavorare -
vestendo abiti d’epoca, con attrezzi
ricostruiti in base alle immagini
coeve. Lo si fa ormai di routine, in
tutta l’Europa del nord, nei musei
viventi tenacemente voluti da tutta
la cittadinanza che vi si identifica
e partecipa alla ricostruzione di
una parte fondamentale della loro
storia.
In
pratica come si vede non c’è limite
alla filologia, si può sempre fare
meglio e di più, ma più che di
bianco e di nero esistono infinite
varietà di grigio che vanno
dall’optimum appena descritto alle
pacchianate da sagra del paese. La
triste realtà parla invece di budget
disponibile, quasi sempre risicato,
dalle tempistiche ristrette, del
legname di qualità ormai quasi
introvabile. Per non parlare delle
cose un tempo “normali” ed ora
proibite, per esempio: non si
possono più usare pece, canna
palustre, minio, fare fuochi liberi,
usare la fucina in città, ecc. ecc.
Abbiamo
dovuto anche mediare fra filologia e
impiego del natante, se come nel
nostro caso la gondola trascorrerà
la maggior parte del tempo a terra
non si possono usare tavole massicce
perché seccandosi si spaccherebbero,
inoltre l’uso di “barca scuola” da
parte di neofiti della voga ha
richiesto soluzioni robuste e di
poca manutenzione.
Quindi
nelle priorità da seguire abbiamo
privilegiato la forma, la
progettazione e i materiali dove è
stato possibile, rimarcando ancora
una volta che si tratta di un
esperimento inedito al quale
dovranno seguire molti altri sui
quali fare tesoro delle esperienze
pregresse.
Per
tutto ciò che non siamo riusciti a
spiegare vale il vecchio proverbio
chioggiotto - ma diffuso in molte
altri luoghi di marini - che
dice: “Chi va per mare naviga,
chi resta a terra giudica.”
Gilberto
Penzo |