I barbari a Venezia.
Anna Somers Cocks "la Repubblica" 18 6 2013
Il grattacielo alto 250 metri a una decina di chilometri
da piazza San Marco, le navi da crociera in Laguna, il
dibattito sul Mose, il degrado di piazza San Marco. La
direttrice di The Art Newspaper, denuncia, dati alla
mano, che il destino di Venezia, proclamata patrimonio
dell'umanità, è a rischio.
Forse, e per fortuna, l'investimento da un miliardo e
mezzo di euro non si troverà, ma in caso contrario a
luglio il comune di Venezia autorizzerà l'avvio dei
lavori di un grattacielo alto 250 metri sulla terraferma
dietro la città, a una decina di chilometri da piazza
San Marco. Anche se il sindaco Giorgio Orsoni assicura
che la torre non rovinerà lo skyline di Venezia, The Art
Newspaper di cui sono direttrice e fondatrice ha
pubblicato un fotomontaggio, ricavato da calcoli
matematici, della vista dal Lido. Il grattacielo si
vedrebbe dall'imbarcadero di S. M. Elisabetta, alto due
terzi del campanile di San Marco, e sciuperebbe
l'immagine iconica che tutti abbiamo in mente.
Non è vero, dice il sindaco con ostinazione. Così ho
chiesto un'analisi dei calcoli agli esperti dello studio
di consulenza Miller Hare, che fa questo tipo di
proiezioni per tutti i grattacieli di Londra. I
risultati confermano i nostri.
Negli ultimi trent'anni Venezia è diventata oggetto di
così tanti dibattiti politicizzati, la cui prima vittima
è stata la verità, che un calcolo aritmetico può essere
trattato come una questione di opinioni e la maggior
parte della gente si limita a fare spallucce. Dietro ciò
che viene descritto in questo articolo, e mette a
repentaglio la città, c'è proprio questo atteggiamento.
Quando nel 1987 è stata dichiarata Sito patrimonio
dell'umanità dell'Unesco, Venezia avrebbe dovuto varare
un piano di gestione. A marzo di quest'anno il consiglio
comunale lo ha finalmente presentato al pubblico. Negli
intenti del consiglio, il piano "definisce le strategie
e seleziona le modalità di attuazione in Piani di
Azione". Peccato che il documento tradisca quasi del
tutto entrambi gli obiettivi, visto che gli autori hanno
ignorato le questioni più importanti.
Il riconoscimento di Sito patrimonio dell'umanità non
viene conferito spontaneamente dall'Unesco, ma prevede
che sia lo stato-nazione a farne domanda. È stata
l'Italia a chiedere che Venezia entrasse nella lista. La
città, ovviamente, soddisfaceva i requisiti necessari e
in cambio del titolo l'Italia si è impegnata a produrre
un piano di gestione e a definire una "Buffer Zone"
(area di protezione) intorno a Venezia. Essere Sito
patrimonio dell'umanità non assicura alcun
finanziamento, perché per quest'anno l'Unesco dispone di
appena 3,25 milioni di dollari da investire nelle sue
attività e in tutti i suoi siti.
Tutto ciò che l'Unesco può fare è vigilare e, se nota
abusi grossolani, protestare, presentare rimostranze
formali al paese coinvolto, spostare il sito nell'elenco
dei patrimoni a rischio e, come ultima risorsa, privarlo
del titolo.
A Venezia l'Unesco ha una sede che però non si occupa
della città. In altri termini, se la sede dell'Unesco di
Venezia nota un uso improprio dello status di sito
patrimonio non può intervenire in alcun modo se non
inviando un rapporto al quartier generale di Parigi. Nel
2006 il governo italiano ha stabilito che tutti i siti
Unesco del paese dovessero presentare il loro piano di
gestione e a novembre del 2012 quello di Venezia è stato
finalmente approvato dal consiglio comunale.
Il piano è un documento di 157 pagine frutto della
consultazione di 250 enti pubblici, con 136 proposte.
Non si sa chi siano gli enti, ma ho scoperto che il noto
comitato No Grandi Navi non è stato interpellato.
Non è invece difficile dedurre che il consiglio comunale
ha ascoltato l'Autorità Portuale di Venezia, poiché la
questione delle grandi navi da crociera che attraversano
la città è menzionata a malapena nell'elenco dei
problemi da risolvere. Sebbene proponga di intraprendere
studi sulle attività portuali e sulle navi da crociera
da un punto di vista ambientale e socioeconomico, il
piano specifica che devono essere coerenti con gli
obiettivi "anche in un'ottica di valorizzazione del
porto di Venezia quale patrimonio storico, economico e
sociale di Venezia e della sua Laguna".
So da dove proviene questa frase. Il potente presidente
dell'Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, ha
pronunciato le stesse parole nell'ottobre del 2011
durante il discorso alla riunione annuale
dell'Associazione dei Comitati Privati Internazionali
per la Salvaguardia di Venezia. Costa va fiero del fatto
che, sotto la sua gestione, il porto veneziano è
diventato il più importante del Mediterraneo per
l'industria delle navi da crociera.
Quasi tutte le navi sono lunghe il triplo di un campo di
football americano, con una stazza lorda di centomila
tonnellate o più. Nel 1997 ne sono passate 206, nel 2011
sono diventate 655, e siccome entrano ed escono dallo
stesso canale significa 1310 passaggi che oscurano la
vista, inquinano l'aria, scuotono le case e spostano
l'acqua nei canali intorno alla Giudecca.
Dal punto di vista politico, Costa se la cava
decisamente meglio del sindaco Orsoni, che è solo un
avvocato, mentre lui è stato ministro dei Lavori
pubblici del governo nazionale, presidente della
Commissione per i trasporti e il turismo del parlamento
europeo e l'anno scorso è stato riconfermato presidente
dell'Autorità Portuale di Venezia fino al 2016.
Costa pensa in grande e ha in mente di trasformare il
porto di Marghera in uno snodo per il trasporto delle
merci nell'ambito del progetto dell'Unione europea di un
corridoio che da Barcellona arriva ai Balcani e
all'Ucraina passando per Venezia. Il porto di
Venezia-Marghera diventerebbe il più grande del nord
Italia. Il progetto, però, dipende dai finanziamenti
europei e se in confronto il porto per il traffico dei
passeggeri di Venezia è piccolo, per Costa ha il
vantaggio di trovarsi interamente sotto il suo
controllo, quindi può intervenire in maniera incisiva.
Dal 1997 l'Autorità Portuale ha investito 141 milioni di
euro per modificare e modernizzare il porto passeggeri
mentre la società fondata quello stesso anno per
gestirlo, la Venezia Terminal Passeggeri (VTP), ha
contribuito con 32 milioni. La SAVE, società che
gestisce l'aeroporto veneziano, è azionista della VTP e
ha interessi nella crescita del porto perché il grosso
dei passeggeri delle crociere arriva o riparte in aereo.
Il consiglio comunale, d'altro canto, non ha azioni né
nella VTP né nella SAVE e non può incidere sulla loro
gestione. Non ha neppure alcuna autorità sul canale
della Giudecca, dove transitano le navi, perché questo
rientra nella sfera di competenza dell'Autorità
Portuale. È come se Broadway non fosse di pertinenza del
sindaco Bloomberg ma del Dipartimento dei trasporti
federale.
Costa nega che il transito delle navi comprometta gli
edifici o la qualità dell'aria, eppure chi lo contesta
sostiene che non è stato effettuato nessuno studio
indipendente. Dopo l'arenamento della Costa Concordia
davanti all'isola del Giglio il 13 gennaio 2012,
Francesco Bandarin, vicedirettore generale dell'Unesco
per la cultura, ha scritto una lettera al ministro
dell'Ambiente dicendo che l'incidente "rafforza le
preoccupazioni" sui rischi posti ai siti patrimonio
dell'umanità, in particolare Venezia e la sua laguna.
Poco dopo il governo ha emanato un decreto con cui
vietava alle navi di oltre quarantamila tonnellate di
percorrere il canale della Giudecca. È stato ignorato.
Malgrado il decreto e l'appello ufficiale di un alto
esponente dell'Unesco, malgrado il fatto che il
consiglio comunale stesse redigendo il piano di gestione
per l'Unesco, malgrado gli autori avessero la
responsabilità di un Sito Patrimonio dell'Umanità, il
piano non mostra il coraggio sufficiente per fare la
minima obiezione agli interessi dell'Autorità Portuale.
Si arriva così alla questione del turismo.
Secondo il piano di gestione, visto il numero
documentato di persone che pernottano a Venezia e
dintorni, ci sono 6,3 milioni di visitatori l'anno che,
moltiplicati per il numero medio dei giorni di sosta,
fanno 23 milioni di "presenze". Quello che il piano non
dice è che molti più turisti si trattengono un solo
giorno e di solito in gruppi numerosi.
Come i turisti che visitano il Louvre per la prima volta
e vanno dritti alla Gioconda, così la maggior parte dei
turisti pendolari punta subito a piazza San Marco.
Quello che veniva chiamato il "salotto d'Europa" ora
somiglia all'atrio affollato di una stazione
ferroviaria, con centinaia di gente che gironzola, si
riposa sugli zaini e fa il picnic.
Fra le tantissime cose che si potrebbero citare sugli
abusi del settore turistico a Venezia ne spiccano tre in
particolare. In primo luogo, senza un controllo del
turismo non si potrà realizzare uno dei principali
obiettivi del piano di gestione, ossia incoraggiare i
veneziani a restare a Venezia e fare in modo che prenda
piede una maggiore varietà di attività economiche. In
secondo luogo, per poter gestire il turismo, qualcuno
piuttosto in alto deve ammettere pubblicamente che
presto il numero dei turisti dovrà essere limitato. In
terzo luogo, il turismo non contribuisce abbastanza alla
manutenzione della città.
Oltre a evitare la questione delle navi da crociera, il
piano di gestione evita anche questo problema cruciale.
Limitare i flussi significherebbe anche introdurre
biglietti d'ingresso e in questo modo i turisti
potrebbero contribuire direttamente alla manutenzione
della città. Se i 6,4 milioni di visitatori accertati
versassero trenta euro in un fondo protetto si
arriverebbe a 192 milioni di euro l'anno.
Il piano di gestione, però, teme di sollevare uno
qualsiasi di questi punti per non urtare contro gli
interessi dei diretti beneficiari delle masse di
turisti: Costa con le sue navi da crociera, i tassisti,
i proprietari delle pizzerie e quelli delle bancarelle
che vendono maschere di carnevale.
L'omissione in assoluto più grave del piano, però, è la
mancata considerazione dell'aumento del livello marino.
Ovviamente si parla dell'acqua alta e del Mose, i cui
lavori dovrebbero essere ultimati nel 2016, ma l'aumento
cronico del livello del mare è giusto accennato in
relazione all'esigenza di approfondire le ricerche per
stabilire le conseguenze dell'aumento dell'umidità sugli
edifici veneziani, e il cambiamento climatico può
"aumentare il rischio idraulico in tutto il territorio a
causa delle prospettate intensificazioni delle piogge
invernali e dell'aumento del livello dei mari".
Quello che le barriere non possono fare è salvare la
città dagli effetti di tale aumento (la malattia
cronica) contrapposti agli allagamenti (le fasi acute)
se non con la chiusura frequente e, in ultima analisi,
permanente. Quando ho chiesto a Giorgio de Vettor del
consiglio comunale di Venezia di spiegarmi perché
l'aumento del livello marino non sia discusso nel piano,
lui ha eluso la domanda: "È un problema che va
affrontato in un modo diverso, prendendo in
considerazione tutti i fattori e gli aspetti del caso".
Alla base di tutto questo c'è il timore di riaccendere
il dibattito attorno al Mose. A Venezia persiste una
certa diffidenza verso le barriere accentuata
dall'atteggiamento difensivo e dalla mancanza di
trasparenza del Consorzio Venezia Nuova, il gruppo di
industrie italiane che le costruisce e si astiene dal
pubblicare resoconti dettagliati o rapporti dettagliati
di avanzamento scientifico.
Nel frattempo la città viene divorata dall'umidità.
Adesso ogni centimetro di aumento del livello marino
conta, perché l'acqua ha superato le basi di pietra
impermeabile di moltissimi edifici e viene assorbita dai
mattoni porosi, sgretolandoli e portandosi via la malta.
Il consiglio comunale conclude il piano di gestione
dicendo che parteciperà adesso al coordinamento di tutti
gli enti che hanno un ruolo o un interesse
nell'amministrazione di Venezia e della sua laguna.
Perlomeno riconosce che è questa l'essenza del problema:
ci sono fin troppe organizzazioni.
Ciò che serve disperatamente è un ente superiore con un
reale potere. Ma questo piano di gestione, con la sua
analisi poco convincente dei problemi della città,
l'abilità di ignorare la realtà e l'evidente servilismo
nei confronti dei gruppi d'interesse, dimostra che il
sindaco Orsoni e il suo consiglio non potranno mai
essere quell'ente. Purtroppo resta aperta la questione
di chi salverà "la fiabesca città del cuore", come la
definì Byron, e il tempo sta scorrendo via |