Francesco Jori,
L’ultimo dei barcari. Riccardo Cappellozza, una vita
sul fiume, Edizioni Biblioteca dell’immagine,
Pordenone, 2009. Pagine 150, 12 euro
Barche e acqua
come scuola di vita
Sono gli antenati dei Tir, ma di loro
si è persa la memoria: per
secoli, i grandi "burci"
di cui parla anche
Dante nella Divina
Commedia hanno
solcato le vie d'acqua della navigazione interna,
trasportando merci di tutti i tipi, dal grano alla
trachite,
dalla sabbia alle "maségne". Poi, il
progresso li ha
spazzati via in pochi
anni: si sono estinti
a metà degli anni
Sessanta del secolo scorso, inghiottiti
nel buio.
Da lì li ha ripescati Riccardo Cappellozza,
uno degli ultimi barcari: un'avventura
nata quasi per caso, passata attraverso una mostra
fotografica, e
sfociata poi in un
Museo che si trova
a
Battaglia, uno dei grandi porti fluviali
del passato, nel Padovano.
Lì
Cappellozza ha pazientemente
raccolto
le testimonianze della vita dei barcari altrimenti
destinate all'oblio, e le ha fatte rivivere con un
allestimento che ogni anno richiama
visitatori da tutto il mondo. In questo
libro, lui, l'ultimo dei barcari, rivive
quell'epopea, da quando per la
prima
volta salì a bordo come mozzo,
da ragazzino.
Un racconto avvincente, che passa
attraverso episodi toccanti, figure mitiche.
Vere e proprie avventure; ma anche uno spaccato della
vita di tutti
i giorni di un Nordest ancora povero,
sulle
soglie della stagione del boom e
dei
miracolo economico.
Riccardo
Cappellozza,
classe 1931, è figlio d'arte: viene da una famiglia di
barcari che aveva cominciato a navigare sull'Adige, e
si è poi trasferita a Battaglia, nel Padovano, dove è
nato lui. Nel 1945, finita la guerra, suo padre aveva
bisogno di aiuto: così a neanche 14 anni si è imbarcato,
e da allora non è più sceso a terra fino al 1962, quando
il progressivo quanto rapido decadimento della
navigazione interna l'ha costretto a inventarsi un
mestiere diverso. Da mozzo è diventato capitano di uno
dei più grandi burci in circolazione, prima a vela e
poi motorizzato, lungo il Po, l'Adige e la rete di fiumi
e canali del Nordest fino all'Isonzo, nonché la fascia
delle lagune. Anche costretto a "emigrare" in
terraferma, non ha tuttavia perso l'antica passione; e
un po' alla volta è riuscito a dar vita a un Museo della
navigazione interna che si trova a Battaglia, facendone
la testimonianza di un'epoca attraverso strumenti di
bordo, parti di barche e oggetti della vita quotidiana
in navigazione. Una realtà unica, per molti aspetti
commovente, che parla dì una vita dura, povera ma ricca
di serenità e di orgoglio.
Francesco
Jori,
padovano, 62 anni, laurea in Scienze Politiche.
Giornalista professionista, inviato speciale: ha
lavorato a "il Resto del Carlino", "il Mattino di
Padova", "Il Gazzettino" di cui è stato vice direttore
quando il giornale era guidato da Giorgio Lago.
Collaboratore di "Repubblica" e dei quotidiani del
Nordest del gruppo Espresso. Ha scritto i saggi
"Prigionieri del Nordest" e "Di Nordest non ce n'è uno".
Per questa collana ha pubblicato "La filosofia della
scarpa", dedicato all'imprenditore Luigino Rossi.
Sul museo di Battaglia Terme vedi anche:
qui,
qui,
qui
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Il libro è un
affascinante resoconto, a più mani, delle moltissime
città che per nostalgia, per calcolo imprenditoriale o
solo perché c’erano due striminziti canali, furono
chiamate Venezia o Venice, Little Venice, Veneza,
Venetia.
Un tour mondiale
che ci commuove per le storie di emigranti veneti, per
l’intraprendenza e la spudoratezza di imprenditori che
bonificarono paludi o scavarono canali nel deserto
realizzando intere città artificiali con hotel da 3000
stanze.
Certo non c’è
niente di scandaloso se a qualcuno viene in mente di
fare una copia della nostra città, o addirittura la
copia della copia, la Venice di Macao infatti è la
replica di Venice in Florida! Al massimo potrebbe essere
solo una questione di buon gusto. La cosa terribile è
semmai, che la vera Venezia sta via via assomigliando
alle sue copie; spariti gli abitanti, il potere è
passato completamente nelle mani di chi vive di turismo
e che modifica l’offerta e l’immagine sul calco delle
richieste della maggioranza, quelle di più basso
livello.
L’unico modo di
allentare questa pressione turistica sulla Venezia
originale sarebbe usare le tecniche idrauliche che
l’hanno già salvata in passato: creare degli sbarramenti
alle piene e deviarle su ampie golene dove farle
sfogare.
Per esempio
radere al suolo Porto Marghera, gettarvi sopra una
spessa soletta di cemento armato, come il sarcofago di
Chernobyl, per seppellire definitivamente questo
e/orrore, e costruirvi sopra una replica di Venezia in
scala 1: 1. Per la maggior parte dei turisti, infatti,
che la chiesa di San Marco, usata come sfondo alla
fotografia con i piccioni, sia vecchia di mille anni o
con la malta ancora fresca non ha nessuna importanza.
Anzi nella città clonata, come a Disneyland, si
troverebbero più a loro agio, potrebbero sbracarsi senza
vincoli di decoro, di preparazione culturale e non
ultimo, di parcheggio.
Venetian Macau
da:
http://caipcaip.blogspot.com/2007/10/venice-macao.html
Wedding
gondola in Las Vegas
da:
http://www.savingforawedding.com/2007/05/02/las-vegas-venetian-wedding-gondola-picture/
Vedi anche altre "gondole" qui
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