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Forse, dopo
vent'anni di discussione e dopo che li hanno già
piantati ovunque, si prende una decisione "Ufficiale".
Paline in plastica riciclata Via libera del
Magistrato, La Nuova Venezuia 24 1 2014 Ugo
Dinello |
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Non
c'è fretta... |
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Bricole di plastica,
l'assessore sollecita il Magistrato. La Nuova
Venezia 8 6 2013 |
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Pali
chiodati |
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Dettaglio delle graffette
infisse nel palo da trattare. Cantiere Cavalier Giudecca
Venezia. Foto G. Penzo |
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Silvio Testa, Il Gazzetttino Lunedì 30 Agosto 2010, |
Da una decina di anni il
Magistrato alle Acque studia i fenomeni di usura
dei pali in legno
Bricole, la
sperimentazione raddoppia |
Nel 2008 il Comune, pur
partecipando alla prima, ne ha avviata
un’altra da 400mila euro |
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Mentre a Roma discutevano la città di
Sagunto fu presa: si potrebbe citare la famosa frase
di Tito Livio, diventata proverbio sugli effetti
nefasti delle troppe chiacchiere non seguite dai
fatti, per raccontare della vicenda delle paline di
ormeggio che dovrebbero essere in legno ma che si
stanno diffondendo a macchia d’olio secondo il più
classico dei fai da te: in plastica riciclata nella
migliore delle ipotesi, in tubi Innocenti
arrugginiti nella peggiore. Vanno molto anche i tubi
in pvc, meglio se arancioni!
Sgombriamo subito il campo: il Regolamento per
la Circolazione acquea autorizza solo le paline
“dritte e di legno”, tutto il resto è proibito, ma
il Comune non è certo impegnato in una guerra punica
contro le violazioni, ogni tanto i vigili passano e
multano, ma dopo un po’ il fai da te continua, se
non è addirittura il Comune stesso, con la
giustificazione di una “sperimentazione” deliberata
nel 2008, a piantare i pali in plastica come è stato
al Ponte Longo alla Giudecca, dove la stessa
amministrazione ne ha collocato più di un centinaio.
Il problema, come è noto, è la sempre minor
durata delle paline tradizionali che, complice forse
la maggior ossigenazione della laguna e la peggior
qualità del legno, sono presto aggredite dalla
teredine che le divora, riducendole rapidamente allo
spessore e alla resistenza di un grissino. E i pali
in legno costano salati (almeno 250 euro): di qui il
fai da te e l’avvento della plastica che non costa
meno (dai 600 euro) ma almeno dovrebbe durare di
più.
Se ogni veneziano con barca ha questo
problema, il Magistrato alle Acque lo ha
moltiplicato per le 6 mila grosse bricole in laguna
che segnano i canali. Bricole e dame che un tempo
duravano 6 – 7 anni ma che ora si spezzano anche
dopo soli 24 mesi, tanto che a Palazzo X Savi ne
devono sostituire almeno 150 all’anno, con una spesa
di circa 400 mila euro. E’ per questo che fin dal
2000 il Magistrato ha avviato una vera
sperimentazione, attivando un tavolo tecnico al
quale partecipano tutti la Soprintendenza ai Beni
ambientali e Architettonici, il Cnr (Istituto di
Scienze marine), Scienze ambientali di Ca’ Foscari,
il Laboratorio prove materiali della Facoltà di
Ingegneria di Padova, il Consorzio Venezia Nuova.
Ovviamente c’è anche il Comune (con Insula), e
qualcuno potrà chiedersi perché a Ca’ Farsetti nel
2008 abbiano deciso di avviare per la cifra di 400
mila euro una sperimentazione autonoma visto che il
Comune già partecipava dal 2000 a un’altra
sperimentazione di alto contenuto scientifico, ma
tant’è. Una sperimentazione, quella del Comune,
condotta a colpi di qualche decina di paline di
legno trattato e di centinaia e centinaia di pali in
plastica come appunto alla Giudecca o alla nuova
darsena del Tronchetto dove il bando di gara ne
prevede ben 500.
Così il Comune sembra quasi suggerire che
“plastica è bello” e la gente ci si è buttata,
convinta che piantare pali di plastica sia lecito,
laddove si valuta che le paline d’ormeggio in città
siano 90 mila, per non parlare di passerelle e
pontili: chiaro che passare dal legno alla plastica
tocca interessi milionari. Intanto il Magistrato sta
conducendo da dieci anni un accurato confronto tra
bricole diverse: legno tradizionale (pino marittimo,
rovere, castagno), legno esotico (demerara), legno
chiodato, plastica riciclata, polimeri, polietileni
mescolati con farina di legno, bricole con guaine di
polietilene termorestringenti.
Non c’è solo un problema di durata, ma anche
estetico e soprattutto di tossicità, perché si fa
presto a dire “eco” di qua o “eco” di là, facendo
passare con la suggestione del riciclaggio di
rifiuti o bottigliette l’idea che la plastica sia il
materiale più sostenibile: invece forse i processi
costruttivi non lo sono, non si sa con quali pitture
si travestano le paline da legno e quali effetti
producano, la frizione con le barche fa finire piano
piano la plastica in acqua, gli urti spesso spezzano
la plastica facendo degradare a contatto con l’acqua
l’anima di ferro che le sorregge tutte. A Sacca
Sessola una fila di pali diversi è sottoposta
proprio a una comparazione tossicologica da parte
dell’Ismar – Cnr e dall’Università di Ca’ Foscari.
La sperimentazione è ora finita e presto ne
saranno resi noti i risultati. E’ confermato, ad
esempio, che il legno chiodato dura molto di più del
legno tradizionale, ed è curioso che nessun
veneziano lo sappia, tranne che al Consorzio della
Cantieristica alla Giudecca dove, grazie al danese
Michael Kiersgaard che per primo ha lanciato l’idea
a Venezia, il legno chiodato viene usato
regolarmente. |
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Sezione di palo lasciato
immerso per lungo tempo nell'acqua della laguna. Si nota
come l'avanzamento delle teredini si fermi in
corrispondenza della zona ossidata dalle graffette. Foto
G. Penzo |
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LA SOLUZIONE NATURALE
Il palo chiodato meglio della plastica
Può durare fino a trent’anni |
(S.T.) Sotto molti
profili, se la sperimentazione del Magistrato alle Acque
lo confermerà, per paline e bricole il legno chiodato
sarebbe la soluzione più in linea con la tradizione,
quella dall’impatto paesaggistico inesistente, dato che
il volto della laguna e dei rii cittadini quale lo si
conosce da sempre non cambierebbe. Andranno valutati,
ovviamente, anche gli aspetti economici, il tutto in
comparazione con le alternative plastiche. «Ma già ora
il legno chiodato ha costi vantaggiosi, e lo saranno
ancora di più quando l’infissione dei punti metallici
avverrà industrialmente anziché a mano», spiega il
bioarchitetto Sandro Castagna, che è il propugnatore del
legno chiodato in laguna.
Castagna è veneziano, si è formato all’Istituto
nazionale di Bioarchitettura di Bolzano, ha cominciato a
ragionare sulla graffettatura del legno immerso come
alternativa all’uso di prodotti chimici tossico – nocivi
nel 1997, dopo essere entrato in contatto con Michael
Kiersgaard, il maestro d’ascia danese che vive da molti
anni a Venezia in vaporetto, nel rio del Ponte Longo
alla Giudecca. Kiersgaard aveva proposto al Cnr di
sperimentare una tecnica di chiodatura in uso nei porti
danesi per allungare la durata dei pali sommersi e la
notizia aveva spinto Castagna a mettersi in contatto con
lui e poi nel tempo a avviare un vero studio dal punto
di vista chimico, biologico, di tecnica del legno. Nel
2001 Castagna ha cominciato a collaborare col Magistrato
alle Acque per la famosa sperimentazione, con
l’infissione di bricole trattate col suo metodo.
Ma in pratica, in cosa consiste il metodo?
Sostanzialmente si tratta dell’infissione di punti
metallici nella parte del legno che andrà immersa,
secondo una posizione e un numero che variano in ragione
del tipo di essenza. Nell’acqua il chiodo si ossida e
l’ossido di ferro (la volgare ruggine) anziché
disperdersi nell’ambiente impregna il legno impedendo
alla teredine e ai funghi di nutrirsene metabolizzando
la cellulosa. Castagna garantisce che col suo sistema i
pali piccoli arrivano a 10 anni e che le bricole
arrivano a 18, «ma la proiezione – conclude – è a 30
anni». Cioè la stima di durata dei pali chiodati può
anche arrivare a 30 anni, ma la Eco Marine Service, che
li commercializza, li sostituisce gratis se cedono prima
dei 10 o dei 18 anni garantiti.
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:
penzo.gilberto |
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