La nautica vista da
Gilberto Penzo
di Sebastiano Giorgi
“Dagli scafi vichinghi alla
nave di James Cook, dal Vasa all'Hermione. In tutti i
paesi del mondo la valorizzazione della cultura marinara
è uno strumento fondamentale per tramandare conoscenza e
identità nelle nuove generazioni, senza contare che
nella gran parte dei casi è anche un'attività che
produce utili e posti di lavoro.”
A denunciare, da anni, l'incapacità
italiana, e veneziana in particolare, di dare dignità
alla nostra straordinaria storia marinara è Gilberto
Penzo, un uomo che ha dedicato una vita a studiare la
storia nautica, in particolare quella veneziana,
diventando col tempo uno dei maggiori esperti del
settore continuamente interpellato ogni qual volta ce
n'è bisogno da musei, università, corsi di formazione, o
in caso di progetti di restauri o ricostruzioni
filologiche, come recentemente avvenuto con la “peota
Savoia” della Reggia di Venaria a Torino.
“Sono nato in Piazza Vigo a
Chioggia. Nella mia famiglia per parte di madre erano
squerarioli proprietari del Cantiere Bullo in canal
Lombardo. Mio padre invece si occupava di motori nautici
in particolare quelli dei pescherecci. A ripensarci non
posso che definirli gente di un'altra epoca se pensiamo
che per il nonno e gli zii che lavoravano in cantiere
era normale, al termine della giornata di lavoro, salire
nella yole, da loro costruita, e andare fino a Venezia a
prendere lo spritz. Memorabile, tant'è che ne parlarono
le cronache dell'epoca, è rimasta la loro impresa da
Venezia a Trieste in yole senza fermarsi!”
Una dura infanzia “Dickensiana”,
tra lavoro e studio in collegio, segnano Penzo che
presto si rende conto d'avere l'animo da autodidatta.
“Non ho conseguito il diploma,
la scuola mi sembrava una prigione io preferivo imparare
dall'esperienza facendo in concreto non ascoltando. Cosa
che, a distanza d'anni posso dirlo, non mi ha impedito
d'arrivare a conoscere tutto quello che mi interessava
ed ora quando compilo il curriculum per le università
che richiedono la mia presenza posso mettere con
civetteria: terza media.”
E siamo al trasferimento da
Chioggia a Venezia, perché?
“Iniziai a fare modelli di
imbarcazioni, una scelta pionieristica nella Chioggia
degli anni Settanta. Poi nel 1979 ho deciso di
realizzare il sogno di andare a Venezia e così sono
partito con i jeans due camicie e due scalpelli
affittando un laboratorio a pianoterra in Calle dei
Saoneri, non lontano dal mio attuale luogo di lavoro. E
devo dire che il primo approccio con la città è stata
un'anticipazione chiara di quello che sarebbe successo
negli anni seguenti, ovvero spopolamento e perdita di
attività, ma anche abitudini di vita, tipiche della
città lagunare.”
Ovvero?
“Ricordo un colloquio
estremamente pragmatico con un'impiegata dell'ufficio
comunale dedicato alla casa. Al quesito se valeva la
pena fare domanda per gli aiuti o per mettersi in lista
per una casa comunale la risposta fu: se lei non si
droga, non picchia la moglie e non è stato in galera non
ha speranza di raggiungere il punteggio necessario.
Stritolata fra i ricchi che se la cavano da soli e i
poveri tutelati dal pubblico, la classe media è così
sparita da Venezia. Io ebbi la fortuna, grazie alla
disponibilità di una persona facoltosa, di trovare un
appartamento in affitto sul Canal Grande, davanti avevo
la porta d'acqua e le paline pronte per l'ormeggio, così
feci subito richiesta di un posto barca, la risposta del
Comune fu: quella concessione è scaduta e non se ne
rilasciano di nuove. Questi due aneddoti sono una
sintesi perfetta di come si disincentiva la residenza a
Venezia.”
Amministratori che da anni pare
abbiano perso totalmente il contatto con l'essenza
nautica di Venezia.
“Credo fermamente che ci sia un
regista perverso che persegue per Venezia sempre le
scelte peggiori, più costose e che non funzionano. Lo so
i miei sembrano i mugugni di un vecchio rimbambito, ma
trovano triste quotidiana conferma. Tanto per fare un
esempio bastava un'occhiata di un semplice fabbro al
progetto dell'ovovia sul ponte della Costituzione per
capire che non avrebbe mai funzionato. Se poi passiamo
alla nautica allora siamo alla fiera delle occasioni
perse. Venezia è stata per dieci secoli una
straordinaria Repubblica Marinara, ripeto Marinara. Oggi
possedere una barca sembra un peccato. Non si può
ormeggiare né sotto casa né in altri punti della città.
La navigazione a vela è proibita in bacino, quella a
remi parzialmente vietata in Canal Grande. Sembra che
tutto ciò che è etico, ecologico, divertente, sano vada
ostacolato. E dal punto di vista socio-culturale la
situazione è addirittura peggiore, l'Arsenale, ovvero la
maggiore fabbrica navale della storia nel mondo,
potrebbe essere, chiavi in mano, allestito con grande
facilità per essere la più straordinaria esposizione
viva, ovvero con arti e mestieri funzionanti, della
cultura marinara e mercantile di Venezia. Con laboratori
di restauro, campus universitari, artigiani scelti che
riprendono antichi mestieri, cantieri navali che
costruiscono repliche di navi scomparse ecc. E invece in
quegli splendidi spazi, che hanno prodotto navi in grado
di conquistare i mercati del mondo allora conosciuto,
pare si possa fare qualsiasi iniziativa fuorché dare
spazio alla identità più intrinseca della città.”
Ed ecco allora l'inevitabile
domanda sulla possibilità di ricostruzione del
Bucintoro.
“Premetto che il Bucintoro, tra
le navi veneziane, era la meno “nautica”, ovvero un
mezzo che se c'era un po' di vento non veniva neanche
mosso perché fondamentalmente era soprattutto una
sontuosa macchina scenica. Detto questo credo che
sarebbe molto più intelligente pensare ad una
ricostruzione di una Galea, o di una nave tonda tipo
Cocca o Caracca, ovvero quei mezzi su cui la Serenissima
ha costruito concretamente la sua grandezza sui mari. In
ogni caso qualunque sia l'oggetto da ricostruire mi
preme sempre ricordare che queste operazioni hanno senso
solo se fatte in modo filologico. La cosa incredibile è
che in realtà con minor storia marinara veneziana e con
minor visibilità turistica si è saputo ricostruire navi
importanti trovando una gran parte dei fondi necessari
solo attraverso il merchandising e le visite ai
laboratori in cui si ricostruivano i pezzi delle navi.
Inutile dire che un progetto del genere a Venezia si
autofinanzierebbe, senza contare quale ottima ricaduta
avrebbe sulle manovalanze specializzate lagunari, e
sulla cifra culturale del turismo. Ma non si farà nulla,
posso snocciolare un rosario di occasioni perdute o
ritardate all’infinito: il Museo Archeologico di Venezia,
il Museo della Gondola, il Museo di Caorle, il Museo di
Grado, il recupero delle Navi di Boccalama e dei relitti
scavati in occasione dei lavori per il Mose. E in ogni
caso quando i musei li abbiamo sono realtà statiche di
stampo ottocentesco, spazi deserti, senza spiegazioni,
in cui non si può fotografare e non c'è nessuno a cui
chiedere assistenza. Nel mondo i musei sono delle realtà
aperte con laboratori, eventi, percorsi interattivi per
tutte le età. Qui, tanto per capire l'abisso tra noi e
il resto del mondo, la recente buona notizia veneziana
sono i manifesti che da pochi mesi annunciano
trionfalmente che il Museo Navale apre il pomeriggio e
la domenica! Perché per chi non lo sapesse da 50 anni
faceva orario d'ufficio, cioè apriva solo la mattina e
chiudeva i festivi.”
Ma a dispetto dell'indifferenza
veneziana e spesso anche italiana verso la nostra antica
cultura marinara Gilberto Penzo si è tolto, e continua a
togliersi, moltissime soddisfazioni, tra splendide
pubblicazioni - come i libri sulla gondola (per la cui
nuova edizione è in cerca un editore) e quello sui
vaporetti – lezioni all'università, consulenze per musei
di tutto il mondo e i corsi per maestri d'ascia.
“Sì è vero, sono andato avanti a
dispetto delle avversità. Ho scritti libri che
mancavano, tra cui quelli sulle navi veneziane, passate
e presenti, creati raccogliendo le esperienze dirette di
chi le cose le fa. E poi mi piace lavorare con i giovani
aspiranti maestri d'ascia, una delle poche note positive
“marinare” di questa città, insieme a qualche società
remiera, come la Settemari per esempio, o culturale come
l'associazione “Il Caicio” che aveva curato a Forte
Marghera un'ottima raccolta di barche lagunari. E tra le
note positive lasciatevelo dire c'è anche Lagunamare. Se
qualcuno un giorno vorrà studiare la recente storia
nautica veneziana potrà, anzi dovrà, scorrersi gli oltre
80, interessanti e pieni di notizie, numeri della vostra
rivista, veramente unica nel panorama veneziano, di cui
conservo gelosamente tutti i numeri!”
Chiudiamo con un sogno, siamo in
clima di elezioni, se tu fossi sindaco da dove
partiresti per ridare vita a Venezia, città storica con
la sua laguna?
“I buoi però sono già
scappati... Ok, va bene proviamo comunque a sognare,
allora dal punto di vista residenziale e lavorativo,
dato che viviamo in un mondo capitalista, dobbiamo
smettere di pensare che il padrone di una casa o di un
fondo per negozi possa essere un mecenate. Dobbiamo così
creare un supporto economico pubblico (lo poteva essere
la Legge Speciale per Venezia) che, quando un
proprietario affitta ad un residente o ad un laboratorio
artigianale o altra attività di interesse sociale, copra
una parte dell'affitto, in modo che per il proprietario
affittare ad un veneziano non sia una perdita. Da un
punto di vista marinaro vanno invece subito riviste le
norme che riguardano la navigazione a favore di chi usa
veramente le barche, non solo quelle a motore o
turistiche. E poi ancora c'è la grande occasione
Arsenale in cui, con tutto il rispetto per la Biennale,
ha molto più senso insediare attività connesse con la
storia marinara che con mostre d'arte contemporanea. E
se mai ci fosse una mente illuminata in grado di gestire
un progetto di archeologia sperimentale, allora la cosa
più intelligente da fare sarebbe ricostruire la storica
“fusta” che per secoli fu ormeggiata davanti Piazza san
Marco con il cannone puntato sulla Piazza.” |