Purtroppo non basta ormeggiare
una barca in legno ma bisogna curarla e garantire una
continua manutenzione, altrimenti affonda.
Affondato lo storico
bragosso del Comune, Diego Degan, Il Gazzettino
24 settembre 2021. |
Riportiamo un
articolo della Nuova Scintilla, del 29 aprile 2021,
che descrive la vicenda
Chioggia
Forse si sta aspettando il suo affondamento? Se lo
chiede la gente quando passa nei pressi del museo civico
della laguna Sud di Chioggia in campo Marconi, nel
vedere in quale degrado versa il bragozzo esposto,
assieme alla barca da pizzo (che non sta tanto meglio),
attraccato alla riva attigua, come sezione galleggiante
del Museo archeologico etnografico. Coperta ormai senza
segni della precedente impermeabilizzazione, con pittura
e pece spariti del tutto. Boccaporti sfasciati, alcuni
tenuti fermi da mattoni per l’edilizia.
Tutti segni che in sottocoperta l’acqua piovana
è stagnante. Pitture ornamentali che caratterizzano il
tipo di imbarcazione solo un ricordo. Fondo con “la
barba” e incrostazioni lunghissime perché da anni non si
fa carenaggio… E tanto altro! Basta avere tempo e
occhio… Per non parlare, poi, delle vele, o di quanto
resta di esse… chissà a quando risale l’ultima volta che
sono state dispiegate per asciugarle.
Il bragozzo, caratteristica barca da pesca chioggiotta
in uso in tutto il secolo XIX fino agli anni quaranta
del XX, versa veramente in precarie condizioni e non è
certamente un bel biglietto da visita per chi arriva in
Città, visto che si trova proprio alla porta d’ingresso
via terra di Chioggia o per proporre la Città Capitale
della Cultura 2024. Le due imbarcazioni tipiche sono il
dono fatto al Comune dai promotori della Marciliana
co-finanziato nel 2003 dalla Fondazione Clodiense, reso
possibile grazie ai contributi dell’allora Azienda per
il Turismo e di numerose associazioni per le attività
produttive di Chioggia e di Sottomarina.
Forse per la sua manutenzione sarebbe il caso di
ispirarsi a quanto fatto dai curatori del Museo della
Marina di Cesenatico, che hanno provveduto a
plastificare gli scafi delle loro imbarcazioni, in
misura impercettibile, ma tale da assicurare un più
lento anche se inevitabile degrado del fasciame, delle
stoppe e delle pitture.
I soldi per coprire i costi di questo inevitabile e
improrogabile intervento, possono essere attinti dai
fondi previsti per le imbarcazioni storiche dalle leggi
nazionali, regionali ed auropee. Basta saperli cercare e
soprattutto avere la voglia di farlo! Purtroppo l’APT
non esiste più, ma ci sono ancora Cisa Camping, Gebis,
l’Associazione Albergatori e la Fondazione Pesca che
quasi 20 anni fa con il loro contributo hanno rese
possibile l’acquisto delle due barche. Con il loro
restauro sarebbe pure il caso di rivedere tutto il
sistema delle concessioni comunali sul Vena e impedire
l’attracco ai grossi motoscafi rivestiti di orribili
teli come fossero ormeggiati in una darsena, mentre,
invece, si trovano nel canale più caratteristico del
centro storico o addirittura nel canale del Sagraeto.
Sarebbe il caso di riservare solo alle imbarcazioni
tipiche almeno il Sagraeto, i punti più belli della riva
Vena e i pressi del museo. Perché non si fa come una
volta quando con premi vari si incentivavano i
proprietari delle barche al terzo ad ormeggiare nel Vena
e ad alzare le proprie vele nei giorni festivi?
Ruggero Donaggio
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