|
|
Riceviamo e pubblichiamo volentieri
alcune opinioni sulla ricostruzione del Bucintoro: |
23
febbraio 2008
Carlo Beltrame*
Il progetto di
ricostruzione del Bucintoro dimostra ancora una volta
come in questa città (ma direi in Italia in genere) si
punti sempre più su scelte di livello culturale e di
gusto discutibile e magari incredibilmente costose e si
disprezzino invece proposte di alto profilo e magari
meno faraoniche.
Sembra infatti
che, dopo le annuali boutades sui giornali in
occasione della Festa della Sensa, ora si faccia sul
serio. Molti esperti di materia navale, per non dire
tutti (leggi il Gazzettino del 16.10.2006), tra cui il
noto esperto Gilberto Penzo (www.veniceboats.com), si
erano già espressi negativamente su questo argomento. I
più possibilisti hanno chiesto che si proceda con un
progetto filologico ossia scientifico, ma le richieste
non sono ancora state esaudite. Esiste un comitato
scientifico? Chi ne farebbe parte? Esiste un progetto?
Se c’è per cortesia lo si presenti al pubblico. Si
pubblichi un dossier accessibile a tutti e si chiedano i
commenti degli esperti anche esteri.
Abbiamo dati
sufficienti per avviare un progetto fedele? Non posso
non avere dei dubbi quando leggo nel sito web della
Fondazione Bucintoro che “ben
pochi e rari, quindi preziosissimi, sono i riferimenti
che possano consentire al progettista di sviluppare le
proprie scelte tecniche.”
Intanto molte
istituzioni hanno aderito alla neonata fondazione dando
il loro patrocinio.
Fino a qui
passi, ma mi preoccupo quando leggo che al pubblico sono
stati chiesti anche denari (il Casinò e la Provincia
avrebbe già promesso…). Se un privato vuole spendere 15
-20 milioni di euro per un’operazione del genere è
ovviamente libero di farlo ma non mi pare opportuno che
si tocchino i fondi pubblici. Il richiamo per i turisti
posso anche capirlo, anche se non lo condivido per
questioni di gusto, ma allora si vada cauti nel parlare
di operazione culturale e tanto meno filologica (e
quindi scientifica) come dichiarato da D’Agostino. Lo
stesso D’Agostino, in passato, aveva curiosamente
bocciato la proposta della Marina Militare di ospitare
in Arsenale permanentemente la Vespucci definendola un
“ferro vecchio” non degno di quel luogo. Lo stesso ex
assessore si è dimostrato freddino di fronte al progetto
di creazione di un vero (e non virtuale come quello da
lui proposto) museo navale nella parte meridionale del
complesso e ora è vicepresidente di una fondazione che
sta per occupare una tesa dell’Arsenale per partire con
la costruzione della nave.
Devo dire che
non mi è sembrato opportuno nemmeno l’avere ospitato la
sezione della nave sul Molo della Piazza. Opera d’arte?
Alto artigianato? Non mi pare. Pubblicità? Forse sì…
Piuttosto che al
Bucintoro, un goffo barcone trainato per la sua
instabilità, perché non approfittare della presenza sui
fondali lagunari di una galea trecentesca per mettere in
piedi un serio progetto di recupero, restauro ed
esposizione, all’interno dell’Arsenale, di un manufatto
unico, icona della storia marittima della Serenissima ed
espressione massima della tecnologia e del sapere
nautico dell’epoca? Con i 15-20 milioni che si intendono
spendere per il Bucintoro si recupererebbe anche la
vicina rascona, altro unicum, simbolo della
presenza commerciale veneziana nell’entroterra.
A dicembre è
stato rimesso in mare un brigantino ottocentesco per il
cui recupero erano stati spesi molti soldi, perché non
si sapeva dove ospitarlo; con qualche fondo in più
(certo molto meno di 15 milioni) l’operazione potrebbe
essere portata a termine. Inoltre gli ultimi due
trabaccoli dell’alto Adriatico attendono da mesi che
qualcuno li ospiti altrimenti ce li poterà via qualche
museo navigante della Romagna: il Marin Faliero è, da un
anno, in un cantiere privato a Silea… e il Nuovo Trionfo
è in vendita al miglior offerente.
Certo queste
operazioni avrebbero un richiamo minore sul turista
medio ma qui sì che parliamo legittimamente di
interventi di valore culturale.
Ma se proprio
qualcuno si è intestardito nel voler far risorgere il
Bucintoro, perché non puntare ad un’operazione
scientifica, ossia di archeologia sperimentale?
D’Agostino cita ricostruzioni fatte in Olanda e Spagna
ma dimenticando che si tratta di navi non naviganti (la
galea esposta al museo del mare di Barcellona o la
fantasiosa caravella ormeggiata sempre a Barcellona)
oppure di ricostruzioni approssimative non certo
filologiche. Studi filologici condotti da specialisti
che hanno raccolto tutte le informazioni disponibili e
ricostruzioni fedeli con chiodi e caviglie di legno e
non bulloni e corbe tagliate ad ascia e non con la sega
elettrica… non mancano, e a questo proposito cito, solo
per fare degli esempi, la serie delle navi vichinghe di
Roskilde in Danimarca, che ha appena navigato da
Roskilde, luogo dell’affondamento, a Dublino, luogo di
originaria costruzione, e la Cocca di Brema. L’approccio
qui è completamente diverso malgrado non siamo a
Venezia, città ovviamente maggiormente sotto i
riflettori del mondo, e quindi degli specialisti, delle
località sopra citate.
Peraltro la
scelta del percorso scientifico e della ricostruzione
fedele porterebbe lustro all’estero e darebbe lavoro ad
artigiani locali quali maestri d’ascia e fabbri che
lavorano con sistemi tradizionali mentre altri percorsi
porterebbero solo a creare attrazioni adatte a Gardaland
ma non certo a Venezia.
Insomma sono
contrario ad un coinvolgimento del pubblico in questo
progetto e all’occupazione di spazi storici specialmente
se esso sarà condotto senza procedure scientifiche ma a
solo scopo turistico o nostalgico.
Si pensi
piuttosto ad unire le singole competenze e istituzioni
cittadine per un progetto di alto livello quale potrebbe
essere il recupero della galea e la successiva
ricostruzione della stessa per farla navigare lungo le
rotte della Serenissima. Un progetto del genere, che
ovviamente richiederebbe ben più dei due anni necessari
per costruire frettolosamente il Bucintoro…,
permetterebbe di creare all’Arsenale un parco di
archeologia sperimentale navale unico in Italia che
sarebbe il naturale completamento del futuro (mi auguro)
museo navale. Insomma non si perda anche questa
occasione per fare qualcosa di degno per questa città.
* Docente di Archeologia
Marittima Università di Ca' Foscari, Venezia.
|
|
|
|
21-10-2006 da
Alessandro Ervas
Intervengo volentieri al dibattito che vedo animato e
costruttivo con alcune riflessioni che la lettera di
Silvio Testa mi ha aiutato a mettere a fuoco.
La domanda che tutti ci poniamo è, perchè proprio il
Bucintoro e non una imbarcazione di cui esistono piani
di costruzione, studi ecc.? Quali logiche fanno
propendere per questa bizzarra idea?
La risposta che mi sono dato passeggiando per Venezia e
guardandomi intorno è che il Bucintoro è una
imbarcazione che in pratica non funziona e non ha mai
funzionato se non per stare a galla giusto il tempo di
una cerimonia. In pratica per chi la propone è una vera
e propria manna dal cielo, la storia consegna loro su un
piatto d'argento una "cosa" che non serve che funzioni!
La logica della ricostruzione del Bucintoro rientra a
pieno titolo nella natura di tutti gli interventi che si
vedono giornalmente a Venezia: perchè si continuano a
cementificare le rive, a mettere la sabbia sotto i
masegni, a cementificare gli squeri, a costruire pontili
assurdi, a progettare ponti sbagliati, a "restaurare"
rive che poi affondano eccetera?
Sarebbe contro la natura di molti "progettisti" e
finanziatori attivare un progetto che comporti un
effettivo funzionamento di qualcosa, per il semplice
fatto che dovrebbero avvalersi, questa volta sul serio,
di gente che sa il fatto suo e dovrebbero costruire nel
senso vero del termine, cioè come lo intendiamo noi
Artigiani o in ogni caso come lo intende qualsiasi
persona di buon senso. Il Bucintoro così come ci viene
proposto risponde a dei requisiti assolutamente logici
se guardato da questo punto di vista: non serve che
funzioni, può essere costruito anche dall'ultimo degli
scenografi in cartapesta o simile, non dovendo navigare
non ha bisogno di rimessaggi e tutto il resto, sta fermo
ed il turista lo visita come un carrozzone delle fiere,
o più all'avanguardia, come una mongolfiera, e meno
gente veramente esperta ci lavora meno gli ideatori del
progetto devono confrontarsi e tutto diventa molto più
semplice. Proprio come riempire di sabbia le fondamenta,
tanto poi se qualcosa non funziona è colpa degli
artigiani che non sono quelli di un volta o sono troppo
cari, oppure di "Venezia" con la sua salsedine, il moto
ondoso, la vecchiaia .................Sbaglio di molto?
Alessandro Ervas
Fravo |
|
|
|
17 ottobre
2006 da Gilberto Penzo
Ho seguito con
grande interesse il vorticoso giro di e-mail sulla questione
partita dal Bucintoro e arrivato al Nuovo Trionfo, passando
attraverso il Marin Faliero.
Più che un
dibattito, però, è stato un coro unanime di consensi, ognuno
di noi è d'accordo, e non poteva essere altrimenti, sul
fatto che una barca antica vada salvata e che al posto del
bucintoro si poteva scegliere un altro tipo di scafo da
ricostruire.
Il bucintoro,
infatti, più che una nave era una barocca macchina scenica,
era come un'ape regina impossibilitata a muoversi
autonomamente dalla sua stessa massa e forma, una metafora
involontaria (?) della società veneziana decadente ed
eccessiva, suddivisa a strati orizzontali impermeabili, con
sopra chi comanda e chi lavora sotto.
Tutte le altre navi,
indipendentemente dalla zona di costruzione, dalla loro
forma e utilizzo, dovevano invece avere tutte le qualità
tipiche di un'imbarcazione: sicurezza, velocità, capienza,
manovrabilità, economia e solidità di costruzione ecc.
La mia preferenza
quindi su "se" e "cosa" ricostruire, come ripeto da molti
anni, sarebbe per una galea, una nave tonda o, perché no,
una tartana, una rascona di cui abbiamo
rilievi attendibili o addirittura i relitti.
Ma la discriminate,
dove ci si gioca il risultato, dipende non tanto su "cosa"
si fa ma "come" lo si fa. Per esempio il galeone dei pirati
che gira per la laguna per le feste galleggianti è sì
ridicolo ma non disonesto, nessuno fra i progettisti lo ha
fatto pensando di esporlo ad una rassegna di archeologia
ricostruttiva, ma solo per il divertimento degli ospiti.
Viceversa ho
assistito, e documentato, innumerevoli restauri e
ricostruzioni maldestri che hanno stravolto completamente
l'imbarcazione, tanto da preferire per loro una meno
ingloriosa morte naturale.
In queste come in
altre vicende, non bastano la passione e il denaro, a questi
indispensabili ingredienti vanno uniti: professionalità e
competenza. Nonché una dote molto rara in Italia la capacità
di lavorare assieme, ognuno nelle rispettive competenze, per
un fine comune, evitando le congreghe e puntando solo alla
massima qualità del progetto finale.
Vi confermo quindi
la mia disponibilità a proseguire assieme, se lo vorrete,
questo lavoro di salvaguardia storica, non "contro" il
bucintoro ma a favore di una nave scelta collegialmente.
Gilberto Penzo Venezia 17
ottobre 2006
|
|
|
da
Sebastiano Giorgi
Simboli e buon senso
È
stagione di simboli. Lo sono i tricolori
bianco-rosso-verdi che ancora garriscono dopo i recenti
successi pedatori contro i transalpini legatissimi a
quell’altro tricolore bianco-rosso-blu, quanto lo sono
alle loro centinaia di qualità di formaggi da spalmare
nelle baguette trasportate sotto le ascelle. Simboli
sono le maglie feticcio, quella di Materazzi, Totti,
Cannavaro o Zidane, le bandiere con il Cavallino della
Ferrari, le felpe con le scritte Venezia, Fiat, Italia,
le ciabattine con la bandiera del Brasile. Simboli che
vanno studiati con attenzione perché sottendono letture
sociologiche interessanti e a volte illuminanti.
Ma
quali simbologie associamo oggi a Venezia?
Non
una ma tante e abusate come quella decadente della
Venezia che affonda, quella romantica della città
dell’amore, quella pasticciata che passa al cinema
generata da frettolose ricostruzioni storiche dei film
hollywoodiani. E queste, dopotutto, volano anche
abbastanza alto se pensiamo che i più comuni simboli
materiali di cui si appropria il flusso dei 18 milioni
di turisti che qui transitano sono le gondole di
plastica, i vetri di Taiwan, le porno cravatte, il finto
cappello da gondoliere e quegli altri cappelli
multiformi e di variopinte pezze fatti in India. Simboli
anche questi che i turisti si portano a casa e regalano
come serenissimo ricordino ai propri cari.
“È
il mercato che richiede questi gadget”, mi suggeriscono
sottolineando che le masse turistiche da Kathmandu a New
York, da Londra a Venezia, sono irresistibilmente
attratte dagli oggetti trash.
Però c’è qualcosa che non mi convince. C’è un pensiero
di rivoluzionario buon senso (l’atteggiamento più
innovativo e radicale oggi è sicuramente l’uso del buon
senso) che si ostina a farsi largo: ma se a questo fiume
di turisti spiegassimo un po’ meglio dove sono e perché
questa città è fatta proprio così, non è che li
aiuteremmo perlomeno a fare degli acquisti meno incauti,
se non perfino a capire qualcosa di più?
La
faccio corta. Non è che mi interessino i gadget da
vendere ai turisti. Mi interessa invece che Venezia,
senza intaccare la sua formidabile macchina economica,
sappia al contempo sfruttare virtuosamente questo fiume
di gente e denaro per far del bene a se stessa e a chi
ci risiede. L’idea è quella di agire sui simboli.
Da
tempo c’è un comitato che si batte per la ricostruzione
del Bucintoro. Io in realtà, che mi rifaccio
asceticamente al verbo di quel vate di venezianità
nautica che è Gilberto Penzo, ambirei più alla
ricostruzione di una galea (e non mi stanco di ricordare
la necessità del recupero di quella vera di S. Marco in
Boccalama), che è il vero simbolo della grandezza
mercantile e militare di Venezia. Della galea abbiamo
nel dettaglio tutte le misure ed i piani costruttivi,
mentre sul Bucintoro è tutto un po’ più vago, senza
contare che la barca dorata del Doge era scenografica ma
non certo un mezzo marinaro visto che bastava un po’ di
vento per sconsigliarne l’uscita. Di straordinario il
Bucintoro aveva intagli, statue e ornamenti, che una
ricostruzione non potrà certo riproporre in oro, quell’oro
che gli avi dei transalpini di cui sopra fecero colare
per giorni nel distruggere il Bucintoro con una furia
iconoclasta che si abbatté su tanti simboli di Venezia.
Conclusione: se a Venezia ci fosse un Bucintoro (magari
anche una galea) ricostruito e visitabile all’interno
dell’Arsenale, insieme ai numerosi reperti di
archeologia navale che la Soprintendenza sta
recuperando, non è che qualcuno, forse qualche milione
di turisti, lo visiterebbe, pagando un biglietto alla
città e al Museo Navale, magari lasciando anche un
ulteriore contributo con l’acquisto di una maglietta con
il Bucintoro (o con la galea!) da regalare ai frementi
parenti che in Oklahoma o a Singapore attendono un
oggetto feticcio dalla città dei Dogi?
E
un Bucintoro ricostruito non sarebbe anche una splendida
occasione per stimolare la curiosità, tra i giovani
studenti veneziani e non, di cercare qualche notizia in
più su quella cultura marinara che è stata il perno
economico e sociale che ha fatto di Venezia quello che
ancor oggi ammiriamo?
Partendo dal simbolo ricostruito, di buon senso in buon
senso (provateci anche voi!), le conseguenze virtuose
immaginabili sono infinite, tra queste penso alla difesa
e allo sviluppo dei mestieri artigianali antichi, al
rilancio dei percorsi didattici marinari, alla creazione
di nuove professioni in settori complementari al
turismo, ma soprattutto il vero percorso virtuoso è che
aiuteremmo Venezia, e la comunità che vi abita, a
rimanere una città vera in cui si possa vivere e
lavorare anche senza far maschere o vendere vetri
scadenti e pizze al taglio.
Se
la ricostruzione di un simbolo può determinare anche
solo un decimo del virtuoso progetto immaginato cosa
aspettiamo ad impegnare le nostre esperte maestranze
nella ricostruzione delle nostre navi? E chissà mai se
poi a qualcuna delle istituzioni francesi che si
preoccupano tanto della salvezza di Venezia, dopo averci
regalato la statua dell’incendiario Napoleone, venisse
in mente di contribuire alla ricostruzione del
Bucintoro.
Il
buon senso può essere veramente rivoluzionario.
Sebastiano
Giorgi |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|