Il Gazzettino
Mercoledì, 29 Agosto
2007
A Venezia gli scavi per il Mose davanti alla bocca di porto di
Malamocco riportano alla luce il relitto di una nave
inglese
Un brigantino sepolto in laguna
Carico di carbone si arenò e affondò nel 1853. Domani sarà
recuperato
Il mare restituisce di tanto in
tanto tesori custoditi per secoli, ma spetta poi
all'uomo riportarli alla luce. Così sarà domani per il
brigantino inglese "Margareth", naufragato nel 1853
davanti alla bocca di porto di Malamocco e scoperto lo
scorso anno durante i lavori del Mose. La nave, che era
lunga una trentina di metri e stazzava circa 150
tonnellate, è già stata appoggiata su un'invasatura
sottomarina e sarà portata in superficie da due potenti
gru. L'operazione è stata possibile grazie al Consorzio
Venezia Nuova, che sta effettuando tutti i lavori per
l'allestimento del sistema di paratoie mobili che
dovrebbero salvare Venezia dalle acque alte, dal Nucleo
di archeologia subacquea della Soprintendenza e dagli
specialisti veneziani di Idra cui sono state affidate le
operazioni di recupero.
La vicenda del naufragio rimanda ad
altri tempi, quando le bocche di porto della laguna
veneta erano quasi impraticabili e costituivano un
baluardo naturale in grado di tenere fuori le grandi
unità da battaglia. Le correnti di marea e quelle marine
avevano modellato per secoli il fondale adiacente i
litorali in modo bizzarro, che solo i comandanti più
esperti erano in grado di riconoscere. Le grandi dighe
foranee a metà Ottocento non c'erano ancora (furono
costruite circa vent'anni più tardi) e mancava ogni
riferimento. In altre parole, le navi a vela dovevano
compiere una difficile manovra costeggiando Pellestrina
e non entrare direttamente in porto.
Il primo giorno di febbraio del
1853 qualcosa andò storto al "Margareth", che
trasportava un carico di carbone. Così registra la
"Gazzetta Mercantile" del 3 febbraio in cui si dà conto
delle navi in entrata e in uscita: "Il brigantino
Margareth, capitano T. Farlam da Newcastle, con carbone
per la direzione del gas si è naufragato sugli scanni
del porto. L'equipaggio si è tutto salvato".
Da questa nota si può dedurre che
la nave si arenò probabilmente per un errore nella
manovra di avvicinamento alla bocca di porto di
Malamocco. Forse fu una leggerezza del comandante, forse
la nave era troppo carica o ancora era troppo veloce.
Fatto sta che finì in secca e, in quella posizione, il
recupero con i mezzi a disposizione allora, fu
impossibile. Il brigantino fu semplicemente spogliato di
tutte le cose che si potevano recuperare: alberi,
manovre, vele, il carico di carbone e il legname dei
ponti. Non fu un'operazione facile, anche perché
l'esplorazione subacquea era ancora pionieristica. Nel
1857 uno dei palombari addetti al recupero (dovettero
anche segare alcuni bagli per aprire il ponte) perse la
vita durante i lavori. Da allora nessuno sentì più
parlare di quel relitto fino al 2006.
A nasconderlo ci pensò oltre alla
corrente marina, anche la diga foranea, che fu costruita
quasi sopra i resti. Questa è stata una fortuna per chi
oggi sarà chiamato a studiare il relitto perché
rimanendo sotto la sabbia e quindi in ambiente stabile
le parti in legno si sono perfettamente conservate.
All'inizio dello scorso anno, mentre la diga veniva
parzialmente demolita per costruire la conca di
navigazione (attraverso la quale passeranno le navi
quando le paratoie del Mose chiuderanno il porto), una
benna si "mangiò" una parte dello scafo. Tutto fu
bloccato e si attivarono i rilievi, con la
Soprintendenza e i carabinieri del Nucleo tutela del
patrimonio culturale. La datazione del relitto è stata
fatta fin da subito con una certa precisione proprio
grazie alla copertura in rame dell'opera viva,
procedimento in uso solo per un periodo limitato di
tempo e precisamente tra la seconda metà del Settecento
e la prima metà dell'Ottocento. Leggendo le cronache
portuali è stato possibile risalire alla possibile
provenienza della nave e al suo nome. Il passo
successivo sono state le ricerche negli archivi inglesi,
i quali hanno confermato che la nave in questione è la
Margareth, brigantino costruito nel 1834 nei cantieri
navali di Sunderland, Durham, nell'Inghilterra
settentrionale.
La nave ha viaggiato tra la Gran
Bretagna, i Paesi del Nord Europa, il Mediterraneo e
anche il mar Nero prima di finire la sua avventura 19
anni dopo a poco meno di otto metri di profondità
all'imboccatura della laguna di Venezia.
Per recuperarla il relitto è stato
fatto un lavoro certosino: la carena è stata
"disseppellita" dai subacquei ed è stato costruito un
paranco appositamente per questa operazione. I sub hanno
passato alcune cinghie sotto la chiglia, simili a quelle
utilizzate per alare e varare le barche nei moderni
cantieri, solo molto più lunghe. In questo modo e con
pazienza, sfruttando la forza della marea, il relitto è
stato pian piano sollevato dal fondo e appoggiato su
un'invasatura sommersa posizionata poco lontano. Domani,
grazie all'impiego di due potenti gru, la nave sarà
finalmente sollevata e tornerà a vedere la luce dopo 154
anni.
Non è la prima volta che i discussi
lavori del Mose hanno portato alla scoperta di un
relitto. Dall'apertura dei cantieri ne sono stati
rinvenuti almeno otto, due dei quali piuttosto
importanti. Il primo si trova a poche decine di metri
dal brigantino ed era chiaramente una nave da guerra, i
cui cannoni e diverse suppellettili sono stati
recuperati. Il secondo è nella zona della secca del "Bacan",
meta tradizionale delle domeniche dei veneziani, ed è
una nave medievale per il trasporto di pietrame. In
questo caso, il sito è stato circondato da una palizzata
in ferro per impedire l'accesso e il relitto aspetta che
arrivino dallo Stato i fondi per poterlo recuperare,
restaurare e un giorno magari esporre all'Arsenale.
Michele Fullin |